Mi chiamo Curzio. Mio padre ha voluto questo nome. Un po per Malaparte ma soprattutto perché era un nome senza santo. La Roma allo stadio con un padre scavezzacollo e convinto socialista, l Eur, un viaggio in Calabria con la 500, il macinino, che era la Niñ a, la Pinta e la Santa Maria di un intera generazione. Mancava poco alla fine dell innocenza e dell allegria, il 12 dicembre 1969. Era l Italia del boom, fine boom per essere più precisi. Un Paese ancora ingenuo, spensierato, rivolto al futuro, dove perfino i poveri potevano sentirsi felici. Il sabato era una festa. Andare con la mamma alla Rinascente. Uno spazio enorme, nel pieno centro di Milano. Il profumo di Mariangela Melato. I foulard di seta di Carla Fracci. Armani. I panzerotti del Pugliese. La lotta di classe nella scuola privata al parco Lambro per poter fare il tempo pieno. Studiare al liceo negli anni di piombo. Alle 4 del mattino tornare a casa a piedi da piazza del Duomo a Sesto San Giovanni, perché i mezzi a quell ora non c erano. La rivoluzione operaia a Sesto, o meglio un sogno che non si realizzerà mai. Le Br e Walter Alasia. Il Leoncavallo e il Macondo. Il Male . Ridevamo come pazzi e poi con un pensoso e penoso senso di colpa passavamo alle cose serie, la politica, il giornalismo e la cultura ufficiali. Poi ci fu la tragedia che colpì l Italia proprio nel momento in cui si poteva fare davvero qualcosa di grande: l assassinio di Moro nel maggio del 78. Mettersi in fila per trovare un lavoro in redazione, il giornalismo sportivo. La Notte , La Gazzetta dello Sport . Paolo Conte. Di Pietro e Mani pulite, l ultima grande occasione per l Italia di diventare un grande Paese moderno. New York. Il cinema. la Repubblicä (il Milan, Berlusconi eccetera) e la Dolce Vita. Bruxelles con Tsipras. Zeno. Uscire solo col cane, durante il Covid. Roman Polanski e Macbeth, un presagio di morte e gli occhi aperti sulla vita. Il racconto di una vita vissuta con grazia e ironia. Dentro c è tutto il romanzo dell Italia contemporanea.